Fonte: Atlante agroalimentare trevigiano, a cura di Camera di Commercio di Treviso – Belluno
Carni e pesce
Spiedo d’Alta Marca (Pag. 68)
Il Soligo è il fiume che nasce dai laghi di Revine e segue la dorsale delle Prealpi Trevigiane fino a Follina, dove sterza decisamente verso sud andando incontro al Piave. Alle sbocco in pianura,
ecco Pieve di Soligo, che deve il nome alla chiesa plebana — si era nell’Alto Medioevo — determinante il suo rango di capoluogo. Il territorio d’antica giurisdizione era il Quartier del Piave, ovvero la pianura abbracciata dalle colline tra Valdobbiadene e Conegliano. Posizione molto privilegiata, dunque: sullo sfondo, le vigne del Prosecco, quindi i castagneti di Combai e ancora più in alto le malghe del Monte Cesen; tutt’intorno, le campagne del radicchio rosso, alfiere della buona tavola trevigiana. Tra le specialità del luogo, polenta e osei, che celebra la stagione più ricca di soddisfazioni gastronomiche, l’autunno. E proprio a Pieve, nel 1956, durante una cena in trattoria, che nasce l’idea di uno Spiedo Gigante: attorno al tavolo, lo state maggiore della Pro Loco, che decide di lanciarsi nell’impresa. Da allora il rito dello Spiedo Gigante è rimasto lo stesso, salvo passare, nel rispetto delle norme venatorie, dagli uccelli alle quaglie.
La spiedo d’/alta Marca propone tutta la tradizionale rassegna di carni e cacciagione catte a fuoco viva, dalle carni di bassa corte alla cacciagione. La particolarità di questa proposta sta piuttosto nel rispetto da parte degli esercizi consorziati di un disciplinare che entra nei vari dettagli della preparazione. Momento cruciale della stagione, tuttavia, resta la festa di Pieve di Soligo, nell’imminenza della quale si predispone un enorme focolare di piazza, creando sul selciato una sorta di piattaforma di mattoni refrattari; quindi, si monta il girarrosto, che misura 16 metri, suddivisa in otto sezioni da telai ottagonali; a ogni vertice poi si aggancia uno spiedo recante una ventina di quaglie, ragion per cui, quando il marchingegno è a piena regime, girano oltre 1500 uccelli.
Tutt’intorno si svolge la festa, con i chioschi delle tante specialità che fanno contorno allo spiedo. A partire dal Prosecco, primo orgoglio dell’Alta Marca, ma che per questo giorno si deve adattare a comprimario.
- Decalogo dello Spiedo d’Alta Marca
1. La compagnia e i convitati. La convivialità è il fattore d’ambiente che contraddistingue questo piatto. Selezionare un’adeguata compagnia di commensali per gustare in santa pace lo spiedo.
2. Il caminetto “a vista” e la legna da usare. Approntare un caminetto a vista e accendere il fuoco con legna d’alberi tipici della Pedemontana, preferibilmente carpino, faggio e nocciolo.
3. Le carni, l’abbinamento e la disposizione sullo spiedo. Del maiale si dia preferenza a ossacòl, costée, stracùl. In caso di spiedo misto valutare abbinamento o sequenza sugli schidioni.
4. Il taglio, il lardo e la salvia. La carne va tagliata in bocconi d’adeguata grandezza, con un pensiero ai tempi di cottura differenziati. Il lardo, non salato, va ridotto in fette di giusto spessore e alternato alla carne senza troppa pressione. Le foglie di salvia, devono essere piccole, perché più saporite, e senza peduncolo, che tende a essere amarognolo.
5. La salatura e gli aromi. Il sale dev’essere fino e di tipo marino integrale, grigio. Il suo impiego richiede prudenza perché la salatura influisce sia sul sapore che sulla morbidezza delle carni.
Analogo discorso per gli aromi, che sono richiesti solo in alcuni casi. Superflue, anche bagnature di vario genere.
6. Le fasi del fuoco e il tempo cli cottura. Cuocere inizialmente a fuoco lento perché la carne prenda colore e faccia crosta. Procedere alla prima salatura e avvicinare lo spiedo alla fiamma (40 cm circa) per consentire la cottura interna. Cosi facendo mediamente lo spiedo giungerà a perfetta cottura in cinque ore.
7. La brace e la leccarda. La brace può essere portata sotto lo spiedo per una cottura omogenea. Porre la leccarda sotto il girarrosto perché il grasso che cola non generi fumo inopportuno.
8. Il precòt finale. A cottura ultimata, avvolgere del lardo in carta paglia e formare una torcia (precòt) che consenta di colare grasso fuso sulle carni. Cosi facendo, la carne risulta più morbida e anche di sapore più gradevole.
9. La polenta, i contorni e il vino. Lo spiedo è un piatto unico, che va servito con contorno di polenta, bianca o gialla; in aggiunta, radici in tecia, fasoi e altri ortaggi dell’autunno-inverno.
10. La presentazione in tavola. Le carni devono essere ben cotte e mangiate appena tolte dal fuoco. La carne va mantenuta al caldo, preferibilmente in teglie di terracotta o ghisa riscaldate.
OFFERTA
Sono una ventina, le trattorie dei cosidetti “maestri dello spiedo”, ovvero i ristoratori segnalati.
STAGIONALITA’
Lo spiedo è tradizione legata per lo più alla stagione della caccia, dal primo autunno fino alle soglie della primavera, ma ciò non toglie che nella bella stagione siano altre carni – pollo, coniglio, maiale, manzo – a soddisfare la richiesta dei buongustai.
ABBINAMENTO
L’arrosto allo spiedo, specie se di carni rosse o cacciagione, richiede un vino d’adeguata intensità, come il Raboso del Piave Doc. Per le portate più nobili, come la beccaccia, raccomandazione per il Malanotte Raboso Superiore Doc, affinato almeno tre anni.
Coniglio veneto (Pag. 70)
Se ne hanno tracce già in tempi preistorici, quando un antenato del coniglio domestico, a causa dell’ultima glaciazione terrestre si spinse da Belgio, Francia e Germania nelle regioni sud-occidentali dell’Europa e nell’Africa mediterranea. Si trattava di un coniglio selvatico, allevato dai Fenici e successivamente anche dai Romani.
In Veneto un tempo l’allevamento del coniglio costituiva la forma di reddito integrativo per le famiglie della mezzadria veneta, che di queste carni si nutrivano e con le quali esercitavano un piccolo commercio per poter disporre di una certa liquidità di danaro.
Da strettamente familiare, l’allevamento del coniglio ha assunto dimensioni maggiori, senza però perdere le sue caratteristiche di ruralità e ll suo legame con la terra. E una carne povera di grassi facilmente digeribile e quindi adatta a tutti. Nel Veneto si produce il 40% di tutta la carne cunicola prodotta a livello nazionale e la maggiore concentrazione di allevamenti si registra nella Marca Trevigiana, con l’apice nel triangolo dei comuni di Montebelluna, Volpago del Montello, Trevignano. l conigli sono macellati intorno alle 10-13 settimane di età quando raggiungono un peso vivo fra i 2 e i 3 kg. La tipologia di vendita più diffusa è ancora la carcassa intera o la mezza carcassa.
RICETTA
Coniglio ripieno alla pedemontana
1 coniglio veneto medio già mondato
300 g di porcini freschi, 200 g di morlacco
200 g di pancetta arrotolata, 100 g di rete di maiale
1 cipolla, 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
50 g di burro, 1 bicchiere di vino bianco, salvia, aceto, sale e pope
Lavate la rete di maiale in acqua corrente e aceto. Disossate il coniglio e farcitelo (con il morlacco a pezzettini o la pancetta tritata, arrotolatelo a mo’ di salame, inseritevi qualche foglia di salvia tritata e legate il tutto con la rete di maiale. Ponetelo ln una pirofila e infornatelo a 180° per circa un’ora.
Dopo 15’ di cottura, bagnatelo con il vino bianco e aggiustatelo di sale e pepe. ln un tegame fate cuocere in olio e burro i porcini mondati, puliti e tagliati a piccoli pezzi, con la cipolla tritata. Aggiustate di sale e pepe e
portate a cottura. Prima di servire il coniglio, tagliatelo a fette e nappatelo con il proprio sugo di cottura. Accompagnatelo con i porcini ben caldi.
ACQUISTO
Nei negozi della grande distribuzione si trovano anche disossati, in confezioni monoporzione, in singoli tagli e come prodotti trasformati. Per avere carni tenere da arrosto è meglio scegliere conigli giovani. Se invece vogliamo preparare un ottimo umido sono preferibili conigli un po’ grossi e anzianotti: hanno carni più consistenti ma molto saporite.
STAGIONALITA’
L’ampia rassegna di ricette tradizionali o innovative che interessano la carne di coniglio lo rende apprezzabile in tutte le stagioni.
CONSERVAZIONE
Il coniglio ha carni che si prestano senza problemi alla surgelazione, a capo intero o porzionato, con particolare riferimento ai tre tagli più apprezzati dalla gastronomia: spalle, carrè (altrimenti detto lombo o sella) e cosce
Oca del Mondragon (Pag. 71)
Le denominazione geografica si riferisce alla zona collinare sottostante il Mondragon (m 437), cima del versante meridionale della valle del Soligo, in comune di Tarzo. Qui, grazie all’impegno di una singola azienda, l’agriturismo Mondragon, resiste l’allevamento dell’oca e la lavorazione delle sue carni secondo
metodiche che rimandano a una tradizione secolare. Il volatile, solitamente di bassa corte, viene allevato in modo estensivo, ovvero a pascolo semibrado su apposite superfici erbose. L’oca domestica — derivata in tempi remoti dalla specie selvatica, di passo migratorio — era presenza tipica delle fattorie venete; condotta al mercato nella ricorrenza di San Martino, l’11 novembre, diventava protagonista della cucina del primo inverno.
Le oche, di razza a piumaggio bianco, sono allevate in condizioni di piena naturalità e, giunte a maturità, offrono carni fresche particolarmente pregiate sia per la cucina che per la conservazione. Alcuni esempi sono: paté o oca in onto (Tecnica di conservazione di tutto o parte dell’animale, secondo tradizione
sotto il grasso stesso dell’oca); affumicatura (a cui sono riservati i tagli più pregiati, come petto e cosce); conservazione in agro-dolce.
RICETTA
Oca al forno con radicchio
1 oca del Mondragon
0,5 l di vino bianco
1 bicchiere di brandy
1 spicchia d’aglio, rosmarino
2-3 cespi di radicchio rosso di Treviso
olio extravergine d’oliva
sale e pepe
Pulire l’oca e insaporitela all’interno con l’aglio tritato, il rosmarino, sale e pepe. Adagiatela su una teglia e bagnatela con Il vino e il brandy.
Cuocetela in forno per circa 6-7 ore a 140°, bagnandola con il suo grasso di tanto in tanto. Nel frattempo tagliate a spicchi il radicchio e adagiatelo in una teglia, bagnatelo d’olio e insaporitelo con sale e pepe.
Fatelo cuocere in forno a 150° per 5’.
Quando l’oca è cotta, tagliatela a pezzi e servitela con il radicchio.
ACQUISTO
Presso l’agriturismo Mondragon a Tarzo, con servizio di ristorazione a menù stagionale.
STAGIONALITA’
La lavorazione è per tradizione invernale. Il consumo un tempo durava fino a primavera, quando si preparava il tradizionale piatto di “risi e bisi con l’oca in onto”. Allo stato attuale, sia il prodotto fresco che quello conservato è disponibile in ogni momento dell’anno.
CONSERVAZIONE
A seconda della tecnica di conservazione (sotto vetro o affumicato), ogni prodotto ha tempi di mantenimento diversi riportati in etichetta. In ogni caso è consigliabile un ambiente fresco e riparato dalla luce del sole.
Pollo rustichello della Pedemontana (Pag. 72)
Risale a 50 anni fa la prima selezione del pollo rustichello nell’Istituto per la conservazione delle razze avicole venete di Rovigo. In seguito la Regione ha delegato la tutela e il mantenimento in purezza della razza agli Istituti professionali per l’agricoltura dl Vallà e Castelfranco. La denominazione “pollo rustichello” si riferisce alla tradizionale modalità di allevamento ruspante, che prevede la possibilità di razzolare su ampie superfici libere integrando la propria alimentazione con elementi naturali a evidente beneficio della qualità delle carni, che risultano sode e saporite come nel migliore ricordo.
Sono tre le razza riconducibili a questa tipologia avicola: Robusta Maculata, la più diffusa (piumaggio bianco con macchie nere su tutto il corpo e mantellina argentata; galli da 3,8-4,5 kg e galline da 2,8-3,3 kg); Ermellinata di Rovigo (piumaggio di colorazione bianca con le penne timoniere e mantellina scure; galli da 3,7 kg e galline da 2,5 kg; galletti e pollastre da 1,8 kg a 120 giorni); Robusta Lionata (piumaggio fulvo; galli da 3,8-4,5 kg e galline da 2,8-3,2 kg). L’allevamento riguarda l’arca della Comunità Montana del Grappa e della Comunità delle Prealpi Trevigiane e Montello.
RICETTA
Pollo rustichello in tecia con patate
2 kg dl pollo rustichellodella Pedemontana
1,5 kg di palate, sedano, cipolla, carota
salvia e rosmarino, 1 spicchio d’aglio, vino bianco
concentrato di pomodoro, sale e pepe
Pulite il pollo ed evisceratelo, sezionandolo in 12 pezzi. Preparate il fondo con la cipolla, le carote, il sedano, la salvia, il rosmarino e l’aglio; quando il tutto sarà ben rosolato unitevi i pezzi
di pollo, salate e pepate. Lasciare cuocere in una casseruola per circa un’ora a fuoco medio bagnando con il vino e un cucchiaio di concentrato di pomidoro a metà cottura.
Togliete dal fuoco e unitevi le patate pelate e lavate. Portate a termine la cottura in forno per altri 20′ circa a 180°, continuando a bagnare con il sugo di cottura. Servite decorando il piano con delle foglioline di salvia e rosmarino.
ACQUISTO
Il pollo rustichello è reperibile presso le aziende agricole della Pedemontana, ma anche all’origine, ovvero presso gli allevamenti, per lo più di piccole dimensioni, o le aziende agrituristiche che ne fanno oggetto di ristorazione tipica. Per la rete commerciale si è costituita l’Associazione Pollo Rustichello della Pedemontana Trevigiana.
STAGIONALITA’
Le carni sono disponibili in ogni momento dell’anno. Tra le ricette stagionali proposte della ristorazione: rustichello alla griglia, piccatina di rustichello, rustichello in umido con funghi e polenta, rustichello ai marroni del Monfenera, rustichello in crosta di pane.
CONSERVAZIONE
In caso di consumo differito nel tempo, il pollo, intero o porzionato, viene riposto in appositi sacchetti alimentari e sottoposto a surgelazione, processo che può essere gestito anche a livello domestico con le semplici accortezze del caso.
Vitellone ai cereali (Pag. 73)
Nella società contadina i bovini avevano doppia attitudine, da lavoro e da latte, e solo a fine carriera venivano destinati al consumo. Con l’avvento della meccanizzazione nasce invece la zootecnia da carne, che ha un veloce sviluppo nel Nord Italia per la vocazione cerealicola della pianura Padana. La produzione del Veneto si distingue principalmente in vitelli a carne bianca (età inferiore agli 8 mesi) e vitelloni (età dagli 8 ai 24 mesi). Le razze di maggior qualità allevate sono lo Charolaise (biondo dorato) e il Limousin (dal mantello marrone—rosso).
La zootecnia trevigiana ha una realtà di spicco a Castelfranco Veneto, cui si associa il cosiddetto Distretto Castellano della Carne. Il sistema di produzione del vitellone è caratterizzato dall’allevamento in strutture protette in cui i capi sono controllati dal punto di vista sanitario e del benessere animale. L’alimentazione
è naturale con razioni in cui cereali e alimenti proteici sono mescolati e distribuiti assieme, unitamente a una parte di fibra che garantisce la ruminazione. Vengono macellati a un peso tra 500 e 600-650 kg, a seconda del tipi genetici e delle richieste del mercato, e danno una carne di colore rosso—rosa brillante, con fibra sottile e poco grasso.
RICETTA
Bocconcini di vitellone
600 g di polpa di vitellone ai cercali, 500 g di radicchio rosso di Treviso
0,5 dl di vino rosso, 0,25 dl d’olio d’oliva, 30 g di cipolla
30 g di sedano, 1/2 spicchio di aglio, 3 g di salvia, 3 g di rosmarino
2 bacche di ginepro, 30 g di farina, sale e pepe
Tritate finemente la cipolla, il sedano e l’aglio, lasciateli rosolare in una padella a bordi alti con l’olio a disposizione. Aggiungete la carne tagliata a dadi, precedentemente infarinati, e scottatela nell’intingolo.
Aggiungente le erbe aromatiche e le spezie, mescolate di lama in tanto.
Bagnate con il vino rosso e lasciate evaporare.
Nel frattempo lavate con cura il radicchio e asciugatelo con un panno, quindi tagliatelo a pezzetti piuttosto grossi.
Aggiungete il radicchio alla carne e procedete con la cottura, sempre a fuoco vivo.
Condite alla fine con sale e pepe e servite con il contorno preferito.
ACQUISTO
La carne di vitellone è disponibile nelle macellerie e nei supermercati. La filiera è garantita dalla tracciabilità
totale dei capi dalla nascita al banco di macelleria, partendo dall’applicazione di marche auricolari e produzione di un passaporto individuale, alla registrazione di tutti i movimenti.
STAGIONALITA’
Nell’odierna realtà zootecnica non ha senso parlare di cicli stagionali. Semmai si può dire che si rispetta ancora il calendario della cucina tradizionale, con i tagli provenienti dalla parte anteriore nel periodo autunno – invernale (per lessi, brasati, spezzatini, ecc), e i tagli magri delle parti posteriori utilizzati tutto l’anno.
CONSERVAZIONE
La carne di vitellone va consumata dopo un periodo di frollatura (8-10 giorni). Allo stato fresco si conserva in frigorifero per 4 – 7 giorni, altrimenti deve essere congelata e in questo modo, se viene rispettata la catena del freddo, può essere conservata per lunghi periodi.
Anguilla del Livenza (Pag. 74)
L’anguilla nasce nelle profondità atlantiche del Mar dei Sargassi e compie le prime fasi di sviluppo durante il viaggio verso le terre continentali, quindi ne risale i fiumi, dove vive fino a maturità e infine compie il percorso inverso per riprodursi. ln questo ciclo si inserisce l’uomo, con la pesca e l’allevamento in laguna.
Per quanto riguarda il Veneto Orientale, già le antiche cronache decantavano in tal senso le sue acque e ancora oggi l’anguilla e presenza immancabile nei menù delle trattorie: protagonista di un risotto, allo spiedo, fritta o in umido, possibilmente accompagnata da un calice di Raboso del Piave.
Il riferimento geografico è per il fiume che segna il confine tra Veneto e Friuli, ovvero fra Traviso e Pordenone, interessato da un cospicuo passo d’anguille, dette anche bisati: quelle che Io risalgono in gioventù, ancora magre, sono dette ”marine” e sono adatte alle preparazioni in umido; quelle che Io discendono a piena maturità, ben grasse, sono dette: “fiumane” e sono ideali per la griglia. Tra le ricette tipiche, il bisato coi àmoi, avviato a cottura arrosto dapprima sfumando con vino bianco e quindi aggiungendo susine selvatiche (àmoi )per dare un tocco acidulo all’insieme.
RICETTA
Anguilla alle erbe forti e vino rosso
1 anguilla del Livenza di circa 1,2 kg
1 cipolla, 1 costa di sedano, 2 spicchi d’aglio
1 bicchiere di vino bianco secco, mezza bottiglia di vino Raboso
olio extravergine d’oliva, pepe in grani
un mazzetto di erbe tritate, sale
Fate ridurre con uno spicchio d’aglio e qualche grano di pepe il vino Raboso della meta e lasciatelo riposare. Preparate un brodo con le verdure e il vino bianco e fatevi sbollentare per 5’ l’anguilla pulita, eviscerata e tagliata in 8 murelli. Una volta levati dal brodo e raffreddati, eliminatene la pelle. In un tegame scaldate l’olio con uno spicchio d’aglio vestito e fate rosolare dolcemente i murelli d’anguilla cospargeteli con le erbe tritate e passate la teglia ln forno per 10′ a 180°. A fine cottura bagnate col ristretto di Raboso. Mandate In tavola l’anguilla con una polenta morbida di mais Biancoperla.
ACQUISTO
Quand’è stagione, sotto le feste, l’anguilla è reperibile un po’ dappertutto. Negli altri momenti dell’anno la si trova nei mercati meglio forniti, ovvero dai commercianti che sono in diretto contatto con pescatori e allevatori.
STAGIONALITA’
Il mercato del pesce è orientato a offrire l’anguilla in dicembre per onorare la tradizione natalizia. Nelle altre stagioni, per quanto presente sui mercati, l’anguilla compare soprattutto nei menù della ristorazione tipica.
CONSERVAZIONE
L’anguilla è pesce di straordinaria vitalità e si dà per scontato debba guizzare ancora sul banco del mercato. In ambito domestico o si parla di conservazione quando la si surgela in tranci per posticipare la cottura.
Gambero di fiume della Venezia orientale (Pag. 75)
Non tutti sanno della presenza dl crostacei nelle acque del fiumi italiani. I motivi sono facilmente comprensibili: innanzitutto le abitudini crepuscolari e comunque riservate di questi abitatori dei greti sassosi; in secondo luogo, la loro rarefazione, causata sul finire dell’Ottocento da un’epidemia naturale e più recentemente dal diffuso scadimento delle acque da loro abitate. II gambero d’acqua dolce (Austropotamobius pallipes italicus) resiste nei corsi d’acqua corrente più integri, come torrenti e risorgive misura poco più di 10 cm e presenta chele che Io fanno assomigliare a un piccolo astice, salvo il colore che è marrone aranciato.
Il Piave e il Livenza sono i due fiumi che rappresentano la roccaforte veneta del gambero di fiume. A fronte del divieto di pesca, per tutelare la specie, è consentito l’allevamento di novellame in vasche attigue all’alveo fluviale sia per il ripopolamento che per il consumo. L’importanza di questi crostacei nella gastronomia locale è testimoniato dalla loro rappresentazione nell’affresco di un’ultima cena nella chiesa di San Giorgio a San Polo di Piave, e viene sottolineata ancora oggi dal nome e dal menu dello storico Gambrinus, ristorante attivo dal 1854 proprio in quel di San Polo di Piave.
RICETTA
Gamberi di fiume con polenta
12 gamberi cli fiume della Venezia orientale
1/2 porro, 1 spicchio d’aglio
40 g di prezzemolo, 1 dl di Prosecco
20 g di passata di pomodoro
pangrattato, polenta, olio extravergine d’oIiva
sale e pepe
Tritate l’aglio, il porro e il prezzemolo e poneteli a rosolare in un tegame: con un filo d’olio; unitevi i gamberi, fateli rosolare a fuoco vivo, quindi bagnateli con il Prosecco e fate sfumare. Aggiungete la passata di pomodoro, il pangrattato e fate cuocere per 10′.
Servite i gamberi accompagnandoli con una buona polenta di farina di mais fumante.
ACQUISTO
Prodotto di nicchia, reperibile presso i pochi allevatori della zona d’origine. Più probabile, apprezzarli nelle proposte di alcuni ristoratori della Marca Trevigiana che sono diventati paladini del raro crostaceo.
STAGIONALITA’
Il prodotto d’allevamento non conosce stagioni. Ricetta storica, gamberi alla Gambrinus con polenta bianca. Per affrontarli esiste uno spiritoso decalogo che incita all’uso delle dita e di un grande tovagliolo, altrimenti detto bavarial.
CONSERVAZIONE
Allo stato fresco i gamberi sono crostacei alquanto deperibili. Molto efficace, il surgelamento, che non altera in modo sensibile né il sapore né la consistenza della parte più pregiata, la cosiddetta “coda”.
Trota iridea del Sile (Pag. 76)
Già negli anni Trenta il Veneto poteva dirsi distretto d’avanguardia nella troticoltura grazie agli studi sul salmonidi di Luigi Meschinelli (1865-1933), precursore del loro allevamento. La ricchezza d’acque fluviali, specie di risorgiva, poneva la regione nelle migliori condizioni per avviare l’attività di allevamento intensivo. Specie prescelta, la trota iridea, che richiede solo due estati per raggiungere la taglia commerciale. Salmonide di origine nord – americana, è inconfondibile per la variopinta banda laterale che segna il passaggio dal verde scuro del dorso all’argento del ventre.
La denominazione si riferisce al più importante fiume di risorgiva d’Italia, che nasce a Casacorba di Vadelaga, circa 15 km a monte di Treviso, e conta numerosi allevamenti anche nei comuni limitrofi di Istrana, Margano, Quinta di Traviso e Casale sul Sile. La disponibilità di notevoli volumi d’acqua sorgiva a temperatura oscillante tra i 10 gradi dell’inverno e i 17 dell’estate consente l’allevamento della trota in termini più vantaggiosi rispetto alla stessa pratica con le escursioni termiche dell’ambiente montana. Oggetto di particolare attenzione, l’alimentazione naturale e il benessere del pesce.
RICETTA
Spiedino di trota fritta con salsa agrodolce
4 filetti di trota iridea del Sile, 60 g di farina, 2 uova, pangrattato
olio d’oliva per friggere, 0,5 I di acqua, 200 g di zucchero,
7 cucchiai dl aceto, 2 carote grosse, 2 coste di sedano, 2 zucchine
2 melanzane, aglio extravergine d’oliva e aceto, sale
Dopo averle lavate e tagliate a pezzi, scottate le verdure per qualche istante in acqua, aceto olio e sale, lasciandole piuttosto al dente; scolatele, fatele asciugare sopra un panno pulito e infine raccoglietele in
una ciotola. Preparate la salsa facendo bollire l’acqua con lo zucchero e l’aceto fino a raggiungere la densità del miele. Tagliate i filetti di trota in 3 pezzi, passateli prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e salato e infine nel pangrattato. Friggete i pezzi di trota in olio bollente, fare assorbire l’olio in eccesso su un foglio di carta assorbente, quindi infilateli in uno spiedino che sistemerete sopra le verdure servendo a parte la salsa agrodolce.
ACQUISTO
Prodotto di immediata reperibilità. Oltre agli allevamenti del Sile, altri impianti sono attivi nei comuni di: Carbonera, Breda di Piave e San Biagio di Callalta; Cimadolmo; Fontanelle; Godega di Sant’Urbano; Follina e Pieve di Soligo; Pederobba.
STAGIONALITA’
In condizioni naturali la trota ha un ciclo di sviluppo stagionale, che dipende per lo più dalla temperatura dell’acqua. Se questo fattore si stabilizza, come accade utilizzando anche acqua di pozzo, la crescita diventa costante.
CONSERVAZIONE
Il pesce è un prodotto che basa la sua bontà sulla freschezza. L’unico trattamento di conservazione conveniente è la surgelazione. Fanno eccezione i filetti precotti o affumicati, confezionati in buste sotto vuoto. Sono inoltre oggi disponibili prodotti innovativi freschi quali hamburger, spiedini e filetto pronto a cuocere.