Fonte: Atlante agroalimentare trevigiano, a cura di Camera di Commercio di Treviso – Belluno
Salumi
Figalét (Pag. 54)
La storicità di questa produzione è attestata da varie fonti antiche: la più autorevole, quel Maestro Martino vissuto nel XV secolo, autore del celebre trattato De Arte Coquinaria, che fu al servizio, tra gli altri, del patriarca di Aquileia. Conferma implicita della collocazione storica di questo insaccato viene dal complesso di sapori che evoca la cucina rinascimentale: la nota amarognola derivante dal fegato, che rappresenta quasi un terzo del macinato; la forte speziatura, a base di pepe e cannella; la probabile aggiunta di scorze candite di limone o arancio.
La produzione del figalét riguarda la fascia pedemontana, dove la salumeria ha tradizione più antica, ma interessa anche la Marca Trevigiana. L’aspetto è quello di salamelle di 2,5-3,5 cm di diametro e 8-12 cm di lunghezza, legate in filze. L’impasto consiste in un macinato di carni suine — pancetta (40%), spalla (30-35%) e fegato (25-30%) — misto a sale, pepe e cannella, con eventuale aggiunta di uva passa macerata nel vin santa. Si consuma previa cottura, per lo più al tegame o arrosto, con polenta abbrustolita. La fetta è di colore rosso scuro; il sapore è intense e caratteristico, con note dolciastre in presenza di uvetta.
RICETTA
Figalét in tecia con polenta
200 g di figalér
50 g di burro
1 I di Acqua
100 g di farina di mais
Sale
Portate a bollore l’acqua e versatevi la farina di mais. Lasciate cuocere per circa 40′, mescolando spesso, fino a ottenere una polenta molto liquida. Aggiustate di sale. Forate con una forchetta i figalét in più parti per far uscire il sugo e rosolateli in padella con poco burro. Aggiungete quindi la polenta liquida e lasciate addensare per qualche minuto senza però che la salsa si asciughi.
ACQUISTO
Prodotto di nicchia, il figalét viene prodotto per lo più a livello di salumifici artigianali, spesso da quelle stesse aziende agrituristiche che lo propongono nella ristorazione tipica. Nella zona d’origine è reperibile con maggiore frequenza anche nelle macellerie.
STAGIONALITA’
Un tempo gli insaccati a base di fegato e altre frattaglie andavano consumati nelle settimane che succedevano alla macellazione, quindi tra autunno e primo inverno. Oggi, venuta meno la stagionalità della macellazione, sono disponibili in ogni momento dell’anno.
CONSERVAZIONE
Il figalét non è insaccato adatto alla staionatura. In ambiente di cantina si conserva qualche settimana. Il consumo può essere differito nel tempo se confezionato sotto vuoto e conservato a temperatura di frigorifero.
Lengual (Pag. 55)
Il termine latino cutis (pelle), evoluto nel volgare “cotica”, rende evidente il ruolo svolto dalla cotenna nella preparazione di questo piccolo insaccato da consumarsi nel giro di qualche mesa, bollito e contornato da crauti o radici in tecia, con sottaceti o salsa di rafano (cren). ln origine il cotechino riuniva nel proprio
impasto parti piuttosto dure come orecchie, lardo, cartilagini e tendini, ma non mancavano versioni ingentilite, come il “museto”, quando a prevalere era lo spolpo di testa, o il “lengual”, che
conteneva al suo interno un pezzo di lingua salmistrata.
Nella sua attuale formulazione il lengual è composto da un macinato di carni suine per tre quarti grasse (40 – 50% cotenna, 10-20% gola, 15-20% spolpo di testa) e un quarto magre (spalla), insaporito con un misto di spezie (pepe spezzato, cannella, chiodo di garofano ecc.), e da un inserto compatto di lingua salmistrata (macerata per un giorno nel vino rosso speziato). La proporzione in peso tra macinato e lingua è di uno a uno. L’insaccato così ottenuto pesa 500-600 g e dopo una settimana di riposo è pronto al consumo.
RICETTA
Lengual in umido con fagioli
1 Iengual, 250g di fagioli secchi già ammollati, 1 foglia di alloro, 1 cipolla rossa, 1 carota, 1 costa di sedano, 4 pomodori pelati, 1 dl di olio extravergine d’oliva, 4 fettine di pancetta, sale e pepe
Infilzate il lengual con qualche stuzzicadente e ponetelo quindi a bollire a fuoco dolce per almeno un paio d’ore in una casseruola completamente immerse nell’acqua. In un’altra pentola cuocete i fagioli in abbondante acqua salata e profumata con la foglia d’alloro. Scolateli poi al dente e teneteli da parte. Mondate e tritate finemente la cipolla, la carne e il sedano e fateli quindi soffriggere in padella con l’olio. Unite al soffritto i fagioli e infine i pomodori, lasciando insaporire per qualche minuto. Aggiustate di sale e di pepe. Grigliate le fettine di pancetta. Versate i fagioli in un’ ampia pirofila e aggiungetevi quindi il lengual precedentemente scolato e tagliato a fettine e le fettine di pancetta e passate infine in forno a 120° per 20‘.
ACQUISTO
Il Iengual è insaccato dalla fetta inconfondibile, marezzata all’esterno e di colore rosso scuro all’interno. La produzione è limitata per il semplice fatto che ogni capo non può fornire che una lingua, ma i buongustai sanno a quali macellai e salumieri rivolgersi.
STAGIONALITA’
In passato, quando la macellazione dei suini aveva tempi prefissati, salumi come il lengual andavano esaurendosi con il procedere dell’inverno. Oggi restano prodotti per la tavola della stagione fredda, ma senza alcun problema di reperibilità.
CONSERVAZIONE
La natura eterogenea del macinato suggeriva un tempo di consumare il lengual in tempi abbastanza rapidi. Grazie ai progressi nella conservazione, il prodotto oggi ha aumentato la sua vita utile a qualche mese di cantina o di frigorifero ventilato.
Luganega da riso (Pag. 56)
E’ antica la produzione delle luganeghe da riso o “da brodo”, in relazione all’uso di utilizzarle nella preparazione di minestre, che prendono gusto dagli umori rilasciati dal salume durante la cottura. Riferimenti a salsiccette piuttosto grassa, per cosi dire da condimento, da sgranare nelle preparazioni in brodo, si hanno già nei trattati gastronomici di Giulio Tirelli, cuoco presso la corte del doge di Venezia nella prima metà del Seicento. Da queste antiche letture si evince la composizione di questi piccoli insaccati, con larga prevalenza di lardo suino pregiato (lombo, coppa, pancia), e intensa speziatura, come d’uso nella cucina dell’epoca.
Si tratta di insaccati di piccola taglia (4-6 cm) e peso contenuto (circa 50 g). Per il macinato si ricorre a sottospalla, pancetta e gola suino, private della cotenna e macinate con trafila da 5 mm, ed eventuale carne di vitello. Oltre al sale (2,5%), si aggiunge una “dosa” di spezie: cannella, chiodo di garofano, pepe,
noce moscata, macis e coriandolo in proporzioni variabili a discrezione del singolo salumiere. La pasta risulta piuttosto chiara.
Sapore e profumo sono intensi. Lo scambio d’aromi, tra minestra e salsiccia, è reciproco con risultato molto gradevole.
RICETTA
Risotto con zucca e luganega da riso
200 g di Iuganega da riso
400 g cli zucca cruda
320 g di riso, 1 I di brodo di carne
1/2 cipolla, olio extravergine di oliva
parmigiano grattugiato
sale e pepe
Fate soffriggere in poco olio la cipolla tritata e, appena rosolata, aggiungete la zucca spellata e tagliata a pezzetti e la luganega sbriciolata; fate cuocere per circa 5′. Calate il riso, mescolate, lasciate che insaporisca bene, quindi portatelo a cottura tenendolo sempre mescolato e bagnato con mestolini di brodo bollente.
Verso fine cottura aggiustate di sale o aggiungete una generosa macinata di pepe. A cottura quasi ultimata, levate il riso dal fuoco, mantecatelo con il parmigiano e servitelo subito su piatti caldi.
ACQUISTO
E’ prodotto di facile reperibilità in tutta la provincia di Treviso. La produzione riguarda le aziende salumiere e macellerie, ma anche gli agriturismi che lavorano carni suine o propongono menù che si richiamano alla tradizione di “far su el mas-cio”.
STAGIONALITA’
La luganega da riso si impiega per lo più nella preparazione di minestre e zuppe invernali, ragion per cui la produzione prende il via con l’autunno. In altri periodi, considerata la semplicità di preparazione, è fornita su richiesta dai macellai.
CONSERVAZIONE
Per composizione e calibro, la luganega da riso è insaccato da consumarsi a breve periodo. Pronte al consumo non appena confezionate, possono essere conservate qualche settimana in ambiente fresco o nello scomparto meno freddo di un frigorifero ventilato.
Muset della Pedemontana Trevigiana (Pag. 57)
Del maiale tutto serve — si diceva un tempo — nel senso che ogni suo taglio ha uno specifico impiego di macelleria o salumeria. Questo vale anche per le cotenne, destinate alla preparazione del cotechino, come risalta nel nome, e in particolate per quanto si ricavava dalla testa, destinato a un cotechino di consistenza
sensibilmente diversa, che prendeva nome di “musetto”. Per la maggiore presenza di tessuti cartilaginei e gelatinosi il colore di una fetta di musetto risulta più chiara e di consistenza collosa, ma proprio per questo più gradita al palato.
Al giorno d’oggi il muset della Pedemontana viene lavorato utilizzando per tre quarti carni suine grasse (40-50% cotenna; 10-20% gola; 15-20% spolpo di testa) e per un quarto carni magre (spalla), macinate con trafila da 6 mm. Se ne ricavano insaccati di forma cilindrica di 6-10 cm di diametro, 15-20 cm di lunghezza e 400-500 g dl peso. La tipicità del prodotto deriva dall’impiego di suini d’allevamento locale, nel rispetto di un disciplinare che ne privilegia il benessere, e da una speziatura di caratteristica aromaticità. A una settimana dalla preparazione il muset è pronto al consumo, previa bollitura di almeno due ore.
RICETTA
Muset e Lenticchie
1 muset della Pedemontana Trevigiana di circa 800-900 g
250 g di Lenticchie secche, 80 g di lardo, 7 cipolla, 2 spicchi d’aglio
6 -7 foglie di salvia, una manciata cli prezzemolo tritato
olio d’oliva, sale, pepe e una foglia di alloro
Mettete a bagno le lenticchie in acqua fredda per tutta la notte. Il giorno dopo bucherellate il muset e mettetelo con le lenticchie in una casseruola. Coprite con acqua fredda e cuocete a fuoco moderato aggiungendo una foglia d’alloro (niente sale). Lasciate cuocere a bollore quasi impercettibile sino a quando le lenticchie e il muset risulteranno teneri. Battete con la lama scaldata di un coltello il lardo e soffriggetelo con la cipolla tagliata a velo, la salvia e il prezzemolo tritati con l’aglio. Togliete dall’acqua di cottura il muset e tenetelo al caldo; scolate le lenticchie e fatele insaporire nel soffritto; salate e pepate. Ponetele poi su un piano da portata adagiandovi sopra le fette di muset senza la pelle, quindi servite.
ACQUISTO
Prodotto d’ampio commercio, il muset della Pedemontana è reperibile presso gli spacci delle aziende produttrici, ma anche presso chi trasforma le carni suine a livello artigianale, come macellai e aziende agrituristiche della zona d’origine.
STAGIONALITA’
I muset sono prodotti richiesti dalla cucina invernale, specie sotto le feste natalizie, e dunque questo è il periodo di più intensa richiesta, quando vengono serviti con salsa di rafano (cren), radicchi di campo stufati o legumi, come lenticchie e fagioli in umido.
CONSERVAZIONE
Muset e insaccati d’analoga composizione non sono prodotti destinati alla stagionatura. In attesa del consumo, possono passare qualche settimana in adeguato ambiente di cantina o nello scomparto meno freddo di un frigorifero ventilato.
Osocol di Treviso (Pag. 58)
Le carni suine più pregiate — cosce, spalle e lombo — sono tradizionalmente lavorate a taglio intero per ottenere apprezzatissimi salumi da fetta e già nel 1632 il canonico bellunese Giovanbattista Barpo nel suo trattato Le delizie dell’Agricoltura e della Villa menziona la lavorazione di persuti, riferendosi appunto a questa categoria di carni sotto sale. L’osocol, altrimenti detto coppa, è specialità che si qualifica fin dal nome come l’insaccato che si ottiene dai forti muscoli che innestano la testa al tronco del suino.
La fetta che ne deriva è inconfondibile per forma pressoché rotonda e venatura di lardo che addolcisce il sapore.
La produzione riguarda i comuni della Pedemontana, di più radicata tradizione salumiera. Il taglio compreso tra la prima e la quarta vertebra del suino viene disossato e ognuna delle due masse muscolari che se ne ricavano viene lavorata intera: dapprima salata e aromatizzata con pepe, cannella, chiodi di garofano, ginepro, alloro e vin santo (Prosecco passito), quindi insaccata in un grosso budello e legato con apposita rete, infine appeso a maturare per 15 giorni in ambiente di umidità idonea.
Dopo questa asciugatura il salume ha forma leggermente a pera e un peso di 1500-1600 g.
RICETTA
Osocol con giardiniera, asparagi bianchi e bruscandoli sott’olio
250 g di osocol di Treviso
per la giardiniera: 12 punte di asparagi bianchi di Cimadolmo,
200g di punte di bruscandoli, 2 carote, 1 cavolfiore, 1 costa di sedano,
7,5 dl di aceto, 3 foglie di alloro e un rametto di timo,
10 g di pepe nero in grani, qualche chiodo di garofano,
olio extravergine d ‘oliva, sale
Mondate e tagliate a julienne le carote e il sedano; pulite e spellate gli asparagi; mondate e tagliate a pezzi il cavolfiore e infine, mondate i bruscandoli. Fate bollire in una casseruola 2,5 dl di acqua con l’aceto e gli odori e tuffatevi le verdure sbollentandole per 4′ circa.
Scolatele e stendetele ad asciugare sopra un canovaccio da cucina; inseritele quindi in un vaso che riempirete con l‘olio extravergine d‘oliva.
Lasciate riposare per almeno 48 ore. Servite disponendo su ciascun piatto delle fettine di osocol, accompagnando con la giardiniera.
ACQUISTO
Prodotto molto richiesto, risulta disponibile in ogni momento dell’anno a ogni livello della rete commerciale della provincia di Treviso: tanto all’origine, presso gli spacci dei produttori, quanto sugli scaffali della grande distribuzione.
STAGIONALITA’
Passati gli anni in cui il maiale si macellava necessariamente in autunno, al giorno d’oggi un salume come l’oscol, adatto alla stagionatura, è tra i pezzi forti dell’antipasto trevigiano ogni momento dell’anno.
CONSERVAZIONE
La consistente massa del salume, protetto da un robusto budello, consente una prolungata stagionatura. Prima di procedere al taglio è consuetudine avvolgere l’osocol in un panno bagnato con vino bianco per ammorbidire e aromatizzare la parte esterna.
Porchetta trevigiana (Pag. 59)
Lo spiedo speziato di maiale da latte, citato da vari autori latini, e senza dubbio specialità delle regioni del Centro Italia — Lazio, Umbria e Marche, in particolare — ma vanno registrate anche alcune realtà di tradizione più recente, per cosi dire extraterritoriale. Una di queste la porchetta trevigiana, il cui esordio
cittadino, secondo il gastronomo Maffioli, risalirebbe al 1919 e sarebbe da attribuire a Ermete Beltrame, titolare della birreria tuttora in attività sotto gli archi del Palazzo dei Trecento, che avrebbe appreso i segreti di questo arrosto da grandi occasioni durante la Grande Guerra, quand’era direttore di una mensa
ufficiali in Toscana.
La preparazione della porchetta Trevigiana richiede un maialino di circa un anno di età e 50 kg di peso. Accuratamente disossata, la carne dev’essere condita internamente con una concia di sale, rosmarino, pepe, aglio e vino bianco, quindi cucita e legata con spago in modo da formare un grosso arrosto cilindrico. La cottura è al forno, con eventuale primo passaggio allo spiedo per dare un coIpo di calore alla cotenna, e dura circa 7 ore. Si serve a temperatura ambiente, a mo’ di spuntino, come accade nel locale d’origine, o come pietanza estiva.
RICETTA
Focaccine con porchetta
per le focaccine: 2 dl di latte, 750 g di farina bianca,
70 g di farina di mais, 50 g di farro bollito, 30 g di farina di farro,
lievito in polvere, 2 uova, sale
per la farcia: 250 g di porchetta trevigiana a fettine, 200 g di verza,
limone, senape, olio extravergine d’oliva, sale
Mescolate in una ciotola le farine, il farro, le uova, il latte, un cucchiaino di lievito in polvere, un pizzico di sale e amalgamate il tutto ottenendo una pastella densa. Prendetela a cucchiaiate che deporrete in una padella antiaderente calda: col calore la pastella si allargherà in forma rotonda e si gonfierà come una focaccina; preparatene 16 nello stesso modo. Riducete a listerelle la verza, raccoglietela in una ciotola e conditela con un’emulsione di olio, succo di limone, un cucchiaio di senape, sale.
Tagliate a metà le focaccine, farcitele con la porchetta e la verza condita.
ACQUISTO
La maggior parte delle forniture è assicurata da un’importante azienda salumiera, rappresentata a ogni livello commerciale. Per il resto, va segnalata l’attività di rosticcerie e agriturismi fedeli alla tradizione dello spiedo.
STAGIONALITA’
Un tempo il ciclo di vita del maiale aveva calendario preciso. Oggi non più e anche la vetrina dei suoi prodotti è sempre favorevole al buongustaio, con un picco di consumo in occasione delle tante sagre estive.
CONSERVAZIONE
Nonostante l’assenza di qualsiasi prodotto conservante, la porchetta intera si conserva agevolmente anche due settimane in ambiente adeguatamente refrigerato. In fetta, va protetta in confezione sotto vuoto.
Salado della Pedemontana Trevigiana (Pag. 60)
Nella rassegna dei salumi veneti, in termini di calibro e calendario, il salado è l’insaccato di consumo intermedio tra le salsicce e le soppresse. Pronti al consumo dopo una maturazione di circa un mese, i salami erano in numero tale da soddisfare le necessità domestiche per diverse settimane, fino alla disponibilità della prima soppressa dapprima, piuttosto freschi, quindi più asciutti e di sapore concentrate, ma non per questo meno apprezzati. Alla preparazione dei salami erano destinate carni di pregio, macinate a grana media, in proporzioni di grasso e magro da formare una fetta di buona tenuta al taglio e marezzatura caratteristica.
La produzione interessa i comuni della Pedemontana orientale, da Valdobbiadene a Vittorio Veneto. Il macinato richiede circa due terzi di parti magre (spalla e trito) e un terzo di parti
grasse (25% pancetta, 5-10% gola), destinate a una trafila da 6 mm. All’insieme vengono aggiunti sale marino (2,4-2,8%) e pepe, prevedendo una bagnatura di vino Prosecco Doc, che rappresenta uno degli elementi di maggiore tipicità aromatica. Una volta insaccato, il salado risulta avere diametro di 6-8 cm e
lunghezza di 20-30 cm, per un peso di 600-700 g.
RICETTA
Purè di pan biscotto imbriagà con salado della Pedemontana
250 g di salado della Pedemontana Trevigiana
200 g di pan biscotto
0,5 dl di vino rosso
0,5 dl brodo di pollo
1 peperone in agrodolce
Mettete il pan biscotto in una ciotola assieme al vino e al brodo, lasciandolo in ammollo per 20‘; passate poi il tutto al frullatore per ottenere infine un composto omogeneo e vellutato.
Versate il purè sul fondo di ciascun piatto, disponetevi tre fette di salado verticalmente e guarnite con il peperone in agrodolce tagliato a listarelle.
ACQUISTO
Proprio per le sue contenute dimensioni, il salado è l’insaccato di più: ampia popolarità, disponibile a ogni livello commerciale, anche presso agriturismi e trattorie che rinnovano il piacere delle “marende da contadin” o del “salado su le bronze” con la polenta.
STAGIONALITA’
In termini di tradizione, stante la macellazione autunno – invernale dei suini, la disponibilità del salame non andava oltre la primavera. Superato questo vincolo, nell’odierna realtà produttiva il salame della Pedemontana è salume che non conosce stagioni.
CONSERVAZIONE
Il salado della Pedemontana è insaccato di media stagionatura, nell’ordine di un paio di mesi, con una variabilità direttamente proporzionale al peso. Proprio per questo i salumieri d’un tempo preparavano salami piccoli da pronto consumo e salami più grandi da durata.
Salado fresco trevigiano (Pag. 61)
La morbidezza di un salame non è caratteristica dipendente solo dal grade di stagionatura, ma può essere ricercata anche intervenendo nella composizione del macinato a favore della percentuale grassa. Nella tradizione trevigiana questa attitudine è tipica della Marca, ovvero del territorio che si stende pianeggiante dalle Prealpi alla laguna di Venezia. Ne risulta un salado mollo arrendevole alla lama, che quasi può essere spalmato sul pane, o che, scaldato in padella o sulla brace, genera abbondante condimento nel quale far tocio, ovvero intingere la polenta abbrustolita nello stesso modo.
Caratteristiche del salado fresco sono il macinato a componente grassa maggiore del consueto e grana leggermente superiore (0,6-0,8 mm), addizionato con una concia aromatica — sale grosso, pepe, cannella e chiodo di garofano — a discrezione del singolo produttore. Ulteriore elemento di tipicità è l’aggiunta di
vino bianco aromatizzato all’aglio, che conferisce al salume un fine ma inconfondibile aroma. Le dimensioni dell’insaccato sono invece nella norma (6-8 cm di diametro; 20-25 cm di lunghezza; 600-700 g di peso). La fetta è morbida ed evidenzia la caratteristica d’impasto nella marezzatura più grossolana e chiara.
RICETTA
Salado fresco all’aceto balsamico
16 fette di salado fresco trevigiano di 1 cm di spessore
300 g di raperonzoli
1/2 bicchiere di aceto balsamico
700 g di polenta
olio extravergine d’oIiva
sale e pepe
In una padella ben calda versate un filo d’olio e scottatevi le fette di salado per un minuto circa; unitevi l’aceto balsamico e portate ad ebollizione, facendo restringere per 2′.
Versate su un piatto da portata caldo un po’ di polenta morbida e allargatela con il cucchiaio sul fondo del piano, appoggiatevi una manciata di raperonzoli, mondati e lavati, e disponetevi sopra il salado. Irrorate infine con la salsa di cottura e servite caldo.
ACQUISTO
Prodotto estremamente popolare, reperibile senza alcun problema di luogo o di calendario. Nelle trattorie e negli agriturismi viene proposto alla vecchia maniera: tagliato a fette e fatto rinvenire in legame, oppure tagliato per il lungo e riscaldato sulla griglia.
STAGIONALITA’
Al giorno d’oggi il salado fresco non conosce stagioni come protagonista di spuntini e piatti d’antipasto. Passato in tegame o sulla griglia, invece, è proposta comune nelle stagioni invernali per intensità di sapore e sostanza.
CONSERVAZIONE
Come suggerisce il nome, è un insaccato di pronto consumo. Il primo mese di vita, in cantina o in ambiente adeguatamente refrigerato, serve per l’asciugatura dell’impasto e dopo questa fase di maturazione non ha senso parlare di stagionatura.
Salsiccia Trevigiana (Pag. 62)
La salsiccia o “luganega” è un prodotto tipicamente contadino, presente in tutte le tradizioni salumiere regionali. Lo dimostra l’origine del nome, che si riferisce alla Lucania, l’odierna Basilicata, regione che gli antichi Romani lodavano per i suoi salumi, proprio perché il bosco (lucus) a quel tempo era il luogo deputato all’allevamento del maiale. Nella tradizione a noi più vicina la salsiccia era un insaccato di piccolo calibro e lunghezza indefinita, preparata con carne di seconda scelta, usualmente consumato nel periodo intercorrente tra l’uccisione del maiale e la maturazione dei salami.
Oggi si impiegano carni di guanciale a collo, cha forniscono la percentuale adatta di lardo, tritate a conciate con sale a pepe, quindi insaccate in budello. La percentuale di lardo dipende dalla prospettiva di consumo: le salsicce più magre sono da griglia; quelle più grasse sono da umido. Di conseguenza il colore della salsiccia è più o meno scuro.
RICETTA
Bigoli con salsiccia trevigiana e radicchio rosso di Treviso
320 g di bigoli
2 cespi di radicchio rosso di Treviso
200 g di salsiccia Trevigiana, 50 g di cipolla tritata
1 spicchio d‘aglio tritato, 1 rametto di rosmarino
1/2 bicchiere di vino rosso, prezzemolo tritato
olio extravergine d’oliva, sale e pepe
Lavate e tagliate a julienne il radicchio e private la salsiccia della membrana esterna,
Rosolate in un tegame con un velo d‘olio la cipolla, l’aglio e il rametto di rosmarino. Unite al sofritto la salsiccia e il radicchio e bagnale con il vino rosso. Lasciate sfumare e portate a cottura per 20’ circa.
Cuocete i bigoli in acqua a bollente salata, scolateli e fateli saltare in padella con il sugo, quindi cospargeteli con del prezzemolo tritato e portate in tavola.
ACQUISTO
Prodotto di largo consumo, disponibile nella maggior parte delle macellerie, che la preparano anche su richiesta. La salsiccia, soprattutto cotta alla brace, è una proposta della cucina trevigiana che non conosce stagioni.
STAGIONALITA’
La tradizione voleva che la salsiccia fosse consumata a breve distanza di tempo dalla macellazione del suino, dunque tra autunno e inverno, bollita o grigliata, solitamente accompagnata da verze o altre verdure stufate. Una stagionalità, oggi meno sentita.
CONSERVAZIONE
Tipico insaccato fresco, veniva consumato nelle cene che suggellavano il rituale del “far su el mas-cio” o conservato nelle macellerie giusto il tempo della vendita. Oggi la refrigerazione consente di disporne più a lungo, ma senza superare le poche settimane.
Schenal (Pag. 63)
Autorevoli sono le fonti che già nel secoli passati attestano la produzione veneta di salumeria nobile, ovvero di carni pregiate lavorate a taglio intero, riunite sotto il termine, persuto (corruzione dialettale dell’aggettivo ”prosciugato’”, con riferimento all’azione disidradante del sale), riferibili non solo a coscia e spalla, ma anche ad altri tagli come ossocollo e lombo. In particolare, il termine “schenal”, valorizzato negli anni Settanta da Giuseppe De Stefani, si riferisce a quel taglio dorsale, lo schienale o lombo, che è anche fra i più richiesti per il consumo fresco. A conferma di tanto pregio, l’esposizione al fumo d’essenza pregiata, che migliora la conservazione, ma soprattutto nobilita il sapore.
Il lombo, ovvero la doppia fascia muscolare compresa tra l’attacco delle cosce e le prime costole, viene disossato mantenendo la fascia grassa, quindi messo a macerare per 15 giorni in una concia di sale grosso marino e aromi (pepe, cannella, chiodi garofano, ginepro, alloro). Dopo una fase di asciugatura (8 giorni), si procede all’affumicatura con legno di vite, frassino e frasche di rosmarino; infine, la stagionatura, almeno 60 giorni. AI taglio, la fetta si presenta quadrangolare e di colore rosa brunito, inconfondibile al palato.
RICETTA
Minestrone di patate e schenal
500 g di patate
200 g di asiago stagionato
1 carota, 1 cipolla
1 costa di sedano
1 fetta di schenal
olio extravergine d’oliva
sale e pepe
Mondate e lavate le verdure, tagliatele a tocchetti e fatele rosolare in una casseruola con due cucchiai d’olio e lo schenal tagliato a cubetti; coprite quindi con dall’acqua e lasciate cuocere a fuoco dolce per 30’;
salate e pepate.
A pochi minuti dalla fine della cottura aggiungetevi l’asiago tagliato a dadini e servite quando il formaggio si sarà ammorbidito. Concludete con un filo d’olio e una macinata di pepe, se lo desiderate.
ACQUISTO
Non è un prodotto di nicchia, ma neppure di largo consumo. Salume da buongustaio, si trova nelle botteghe più attente alla produzioni tipiche. Altrimenti, all’origine, presso gli spacci aziendali delle salumerie che lo producono.
STAGIONALITA’
Prodotto di tradizione autunnale, nella realtà odierna è in effetti salume che non conosce stagioni. E’ salume che dà particolare tono a un piatto di affettati, ma per il suo caratteristico aroma trova frequente impiego nella preparazione di primi e pietanze.
CONSERVAZIONE
Come tutti i salumi a taglio interno, lo schenal ha ottimi margini di stagionatura, sei mesi e oltre, in cantina adeguata per temperatura e umidità, o nello scomparto meno freddo di un frigorifero ventilato.
Sopressa Investida (Pag. 64)
Prima che diventasse taglio d’alta cucina, il filetto era una di quelle carni che per magrezza e consistenza venivano valorizzate nella preparazione di salumi di particolare pregio, per così dire da grande occasione. Il pezzo di carne, intero o dimezzato, dunque veniva insaccato in un budello di diametro tale da assicurare sufficiente rivestimento di macinato. II risultato era un affettato di incomparabile disegno – una “soppressa col cuore”, si diceva — scura al centro, nella parte compatta, e marezzata tutt’intorno. Questo valeva per il filetto, ma anche per altre parti d’ analoghe caratteristiche, come la lonza o l’ossocollo, magra la prima, venato di grasso il secondo, con effetto ancor più caratteristico.
La sopressa investida non ha particolari caratteristiche esteriori, anche se si può parlare di dimensioni medie di 10-13 cm di diametro e 25-35 di lunghezza, dettate dalle dimensioni del pezzo di filetto inserito al suo interno. La preparazione consiste nella preventiva macerazione per 3-4 giorni del pezzo compatto sotto concia di sale e aromi. Quanto al macinato — magro di spalla e altre parti, più grasso di pancetta e gola, lavorati a trafila da 6 mm — è prevista una bagnatura con vino Prosecco.
RICETTA
Sopressa investida con fagioli in saor e polenta brustolà
500 g di fagioli freschi, 200 g di soppressa investida
4 fette di polenta abbrustolita, 0,5 dl di olio extravergine d’oIiva
1/2 bicchiere di vino bianco, 1/2 bicchiere di aceto
8 filetti di acciuga, 2 cipolle rosse, 1 spicchio d‘agIio
prezzemolo tritato, sale e pepe
Sgranate i fagioli e tuffateli in una casseruola piena d’acqua fredda; portate a bollire e lasciate cuocere fino a che i fagioli saranno al dente. Mondate e affettate le cipolle e soffriggetele con l’olio e l’aglio; versatevi quindi il vino bianco e, per ultimo, l’aceto. Quando i liquidi saranno evaporati aggiungete le acciughe tagliate a pezzetti, lasciate che si sfaldino e, infine, aggiungete il prezzemolo; togliete dal fuoco. Scolate i fagioli e conditeli con la salsa così ottenuta, aggiustando di sale e pepe e lasciando riposare per almeno un
paio d’ore. Servile disponendo su ciascun punto alcune fette di sopressa, una fetta di polenta abbrustolita e qualche cucchiaio di fagioli in saor.
ACQUISTO
La sopressa investida non può dirsi un prodotto di largo consumo. Ogni capo suino fornisce due filetti, dunque un numero limitato d’insaccati ripieni. Per assicurarsi una tale specialità. Vale la pena ordinarla direttamente al produttore o al macellaio
STAGIONALITA’
Il periodo di disponibilità è quello dei salumi di stagionatura medio – lunga, ovvero dall’inverno alla primavera, anche se attualmente la produzione del settore non sembra porre più alcun limite di calendario ai consumatori.
CONSERVAZIONE
Il fattore di cui tenere conto è il peso dell’insaccato, che varia tra 1,5 e 2,5 kg. Ciò significa che questo tipo di sopressa risulta disponibile a circa tre mesi dalla confezione con un ulteriore margine di 3-4 mesi per il consumo.
Sopressa trevigiana (Pag. 65)
Salumi detti ”soppressate” sono presenti in varie parti d’ltalia, dalla Toscana alla Calabria, ma con caratteristiche alquanto diverse fra loro. II termine, in effetti e piuttosto generico, con un etimo
oscillante fra il latino supprimere, inteso come l’atto di compattare della carne con un torchio dentro un budello, e lo spagnolo salpresar, spargere di sale e comprimere. L’accezione veneta del termine tuttavia è univoca e attestata da fonti storiche: la sopressa è un insaccato di dimensioni superiore alla norma, di carni pregiate, a pasta morbida e grossolana, destinato alla lunga stagionatura.
La produzione della sopressa trevigiana richiede carni suine magre in ragione del 70% a lardo pregiato di pancetta par la quota restante. Dopo la macinatura a grana media (6-8 mm) l’impasto viene lavorato con sala, pepe, cumino, talvolta un trito di chiodi di garofano a cannella. Alcune lavorazioni artigianali aggiungono all’impasto del vino Prosecco o Cabernet (1 Litro per quintale di carne). L’insaccato ha dimensioni alquanto variabili – da 10 a 20 cm di diametro, da 1 a 7 kg di peso — con proporzionale
aumento del tempo di stagionatura, finanche un intero anno.
La fetta e inconfondibile per grandezza e pastosa marezzatura di parti grasse e magre.
RICETTA
Strudel di sopressa trevigiana e asiago Dop
500 g di pasta sfoglia surgelata
750 g di sopressa trevigiana
300 g di asiago pressato
1 tuorlo d ’uovo
Tagliate a dadini il formaggio e affettate la sopressa.
Stendete la pasta sfoglia in uno spessore di 3 mm e disponetevi sopra in maniera omogenea la sopressa e l’asiago; arrotolate la pasta in modo da ottenere uno strudel e spennellatelo con il tuorlo d‘uovo sbattuto.
Trasferite lo strudel su una placca rivestita di carta da forno e infornate infine +180° per circa 30′.
Lasciate intiepidire lo strudel, quindi tagliatelo a fette e servitelo su un Ietto di insalata.
ACQUISTO
E’ prodotto ubiquitario – dalle stanghe dei piccoli produttori agli scaffali della grande distribuzione – a testimonianza del fatto che nell’immaginario del buongustaio veneto non c’è salume che batta la sopressa.
STAGIONALITA’
Quando “far su el mas-cio” era un’attività invernale, le sopresse più grosse dovevano resistere fin quasi alla produzione successiva; oggi non c’è più questa necessità; resta il piacere di seguirne le sorti in cantina.
CONSERVAZIONE
Una sopressa trevigiana merita una cantina come si deve: fondo sterrato, temperatura e umidità equilibriati. Questo l’ideale. In alternativa, le stesse condizioni termoigrometriche possono essere ricreate da un frigorifero evoluto.