In questo numero “Sintesi 2015 anticipazioni 2016” di Economia della Marca Trevigiana,
abbiamo il piacere d’intervistare il dott. Giacomo Ghiraldo nato a Padova
che ha studiato all’Università degli Studi di Padova e che vive e lavora ad Austin in Texas
Buongiorno Giacomo ci puoi parlare dei sul percorso di studio?
Mi sono diplomato al liceo scientifico “Enrico Fermi” a Padova. Dopo la maturità mi ero posto due opzioni da scegliere o economia o ingegneria gestionale. Scelsi economia perché Padova è un’eccellenza in questo campo e perché ho seguito il consiglio e la passione dei miei genitori per questa materia. Sono sempre stato convinto di questa scelta perché economia mi ha permesso di tenere aperte molte porte e permette di spaziare in più ambiti. Ho frequentato dunque economia e management all’università di Padova. Nel corso del terzo anno ho svolto l’Erasmus nella zona più lontana che potevo scegliere e cioè il nord della Finlandia, nella città di Oulu, un paese di 200mila abitanti. Durante il corso della Triennale a Padova, ho avuto anche la possibilità di svolgere uno stage all’estero, questa volta a Praga, in una grande società di eventi.
Nel 2012, ho continuato il percorso di studi all’Università di Padova, scegliendo la Magistrale in Business Administration.
Nel secondo anno della specialistica, ho vinto la borsa di studio “Erasmus Mundus”, la quale mi ha dato la possibilità di frequentare la Recanati Business School presso “Tel Aviv University” dove ho svolto il corso MBA con studenti di età media di 29 anni.
Sono stato il primo dell’ateneo di Padova a sfruttare questa opportunità. Prima di me c’erano stati cinque bandi. Mi sono messo alla prova perché ho dovuto consolidare le relazioni tra le due Università. E’ stata una progettualità impegnativa, ma dopo questa mia esperienza, molti studenti italiani dell’Università di Padova hanno scelto Israele come meta del proprio Exchange.
Questa esperienza è stato il mio punto iniziale d’interesse per il mondo start-up e dell’innovazione. Non a caso, Israele è chiamata la “Start Up Nation”. Dopo la Silicon Valley è il secondo ecosistema dell’innovazione mondiale. Dopo l’esperienza di Israele, è appunto verso la Silicon Valley dove ho rivolto le mie ambizioni. Grazie all’aiuto dell’Università di Padova, ed in particolare il Professor Gubitta e la Dott.ssa Destro, sono riuscito a trovare un’opportunità di stage, proprio lì appunto, in Silicon Valley. Ho svolto due mesi di stage con un Provider di Immersion Programs, volto all’esplorazione di tutte le realtà imprenditoriali della Silicon Valley, con visite aziendali in Google, Facebook, Apple, ecc. facilitando essenzialmente la connessione tra imprenditori sudamericani e la cultura innovativa in SV.
Quando sono tornato in Italia ho sviluppato il business per questa società, trovando partner italiani e mettendoli in connessione con Palo Alto e la Silicon Valley. Nell’arco del 2014 sono andato in Cina con l’Università di Padova. La facoltà di economia ha organizzato visite in aziende italiane, tipo Luxottica e De Longhi, nel sud della Cina. Alla fine del 2014 mi sono laureato facendo una tesi sui processi di trasferimento tecnologico nei Technology Transfer Offices delle Università. La mia tesi si è focalizzata su come passare dalla commercializzazione delle idee dei ricercatori nelle Università, in particolare analizzandone i business model e gli indicatori di performance.
Rimango incantato da questo ambito dell’innovazione e delle start up e da Gennaio 2015 inizio a lavorare in H-FARM dove mi occupo, in qualità di consulente, di trasformazione digitale, creando un ponte tra le grandi aziende italiane e le start-up italiane e internazionali. Conclusa l’esperienza in H-FARM, ho avuto l’opportunità di trasferirmi ad Austin, in Texas, dove ora lavoro per un early stage Venture Capital, che si chiama International Accelerator.
Perché hai sottolineato l’esigenza di formarti all’estero?
Con la mia prima esperienza in Finlandia non sapevo a cosa sarei andato incontro, e questa esperienza mi ha cambiato la vita. Viaggiando in Finlandia e Israele che sono opposti alla cultura italiana a livello mentale, ho pensato di sfidare la mia confort zone perché sono convinto che più ti sfidi e più ti migliori.
In ambito di formazione, quale è stato il Paese più interessante?
L’esperienza più interessante è stata in Finlandia, perché avevo 21 anni ed era la prima volta che vivevo da solo per tanti mesi, quindi direi che è stata la più formativa. Ma Israele per una serie di dinamiche, per lo stile di vita, è stato un punto di svolta della mia carriera, sia per la qualità dell’insegnamento, sia per le opportunità che ho potuto avere.
Cosa ricercavi andando a lavorare all’estero?
Cercavo di più. L’ecosistema dell’innovazione italiana è molto interessante, ma ancora in via di sviluppo. Personalmente la possibilità di andare a lavorate negli Stati Uniti, che sono al vertice dell’innovazione mondiale, rappresentava un sogno. Qui negli Stati Uniti c’è stata una rivoluzione culturale che è partita dalla California e ora si è diffusa in altre città, una su tutte: Austin, TX. Non è solo il fatto di avere i mezzi, ma soprattutto la rivoluzione culturale ha creato un ecosistema che non è solo competitivo, ma anche collaborativo.
Attualmente che mansione ricopri e di cosa ti occupi?
Sono Business Development Manager, ovvero mi occupo di sviluppare le attività per International Accelerator e cioè seleziono le start-up che hanno Founders esclusivamente non US citizen. IA investe 50mila euro e 250mila euro in servizi in nuove aziende che arrivano da tutto il mondo anche dall’Europa. Mi occupo quindi di selezionare, ma anche di sviluppare le varie partnership a livello locale e internazionale, gestire il network, in tutto il mondo, dei Country Advisors, che sono presenti anche in Italia. Uno dei miei compiti è di seguire queste figure in tutto il mondo. Mi occupo, inoltre, dell’organizzazione dei due eventi che svolgiamo ogni anno. Per esempio a Novembre abbiamo ricevuto più di 350 richieste di application, ne abbiamo selezionate 10 stanno qui ad Austin per un evento che si svolge nell’arco di una settimana. Da queste 10 aziende ne abbiamo selezionato 4 che hanno appena iniziato a lavorare adesso ad Austin. Creiamo delle società statunitensi, dando loro una casa, una macchina e soprattutto i visti per la permanenza.
Il mio un ruolo è a stretto contatto con il CEO e il direttore dell’acceleratore. Siamo un acceleratore molto giovane e abbiamo l’opportunità di lavorare a stretto contatto con super Manager con esperienza trentennale in grandi aziende quali Apple, IBM, Facebook e che provengono da grandi Università quali Harvard e Stanford. Ho solo dieci giorni di vacanza all’anno e lavoro molto, ma negli Stati Uniti se fai vedere il tuo valore, ti danno molta fiducia e ti fanno crescere.
Come ti trovi a vivere ad Austin?
Austin è fantastica, è una delle più belle città degli Stati Uniti dove vivere, perché il costo della vita è più basso rispetto alle altre città quali San Francisco e New York. Nonstante questo, qui ci sono le stesse società presenti in Silicon Valley: c’è Facebook, Apple, IBM, Google. Ci sono tantissime start up. Qui c’è un clima fantastico, ci sono dai 15 ai 35 gradi tutto l’anno. Sono molto aperti, sono più vicini alla cultura latina, sono solari. Austin è un’oasi felice del Texas che è geologicamente arido, mentre Austin è un’oasi verde, con piscine naturali, laghi e fiumi.
E’ un’oasi anche dal punto di vista culturale perché c’è l’Università (University of Texas), ci sono tante iniziative per i giovani, ci sono più offerte di lavoro che richieste.
Qual è l’aspetto fondamentale per scegliere una start-up giusta?
L’Aspetto chiave a cui guardiamo è il team di lavoro, le risorse umane, il Curriculum Vitae della persona che ha fatto l’Application, i casi di successo precedenti.
Facciamo un processo di selezione ad Austin e nell’arco di una settimana ci sono vari analisi con gli investitori, colloqui one to one. Abbiamo un network internazionale di mentor con esperienza trentennale che ci danno supporto. Ci informiamo della Market traction, della Market Execution e del Transfer Market, quanti clienti ha già l’azienda, quanti clienti ha avuto, la storia della società, se ha già ricevuto dei finanziamenti e se ha un prototipo in atto.
Ad International Accelerator selezioniamo società che hanno già un prototipo e non sono esclusivamente idea-stage.
Che azioni stai attuando per collegare l’ecosistema innovativo in Texas con l’Italia?
C’è la Camera di Commercio italiana in Texas e sto lavorando con loro. In Italia con International Accelerator abbiamo un Country Advisor molto attivo. Abbiamo vari contatti con l’Italia. Conto di portare ad Austin una start up italiana nel prossimo trimestre. L’Italia ha buonissime idee. Il problema è far credere ai giovani che è possibile che una loro idea si realizzi.
Spesso i giovani si intestardiscono nel locale, invece basta capire che si può semplicemente inviare una mail o chiamare una persona importante qui in America perché qui è molto più facile creare una nuova occasione. Le persone influenti sono molto più aperte che in Italia, è molto più facile che ti rispondano. Ora si può fare di più senza avere un intermediario, perché è possibile fare da soli. L’importante è darsi tempi giusti e crearsi contatti internazionali, connettersi. E’ sufficiente passare due settimane a San Francisco, farsi conoscere per crearsi le giuste relazioni di business. Se non entri mai in contatto con questa realtà, non puoi sapere quanto è diversa. E’ necessario avere un Network internazionale, è importante viaggiare consapevolmente con degli obiettivi. Io per esempio andavo a conferenze dove chiedevo, facevo anche una domanda in più, per avere più opportunità. Nel mio piccolo mi è servito chiedere. Proprio questo è il cambiamento culturale.
Cosa significa per te innovazione?
A me piace molto l’innovazione perché significa cambiamento, cambiare i paradigmi culturali. Significa vedere la società in modo diverso. Nel suo piccolo ognuno di noi può mettere in crisi alcuni concetti e fare innovazione. Sta a noi credere se è vero o no. C’è molta gente che sfrutta il potere mediatico e la propria forza per vendere fumo ai giovani. E’ importante innovare nel senso di pensare con la propria testa, sapendo selezionare le fonti da cui attingere informazioni. Ciò ti porta a raggiungere prima i tuoi obiettivi.
Quale può essere la chiave di lettura tra tradizione e innovazione? L’economia italiana della piccola impresa e dell’artigianato può inserirsi in un processo di innovazione?
Pensando all’Italia, non dobbiamo perdere ciò che abbiamo di buono. Sono un fan dell’Italia. Mi dà felicità poter aiutare l’Italia dall’estero. L’Italia ha un insieme di valori e concetti che tutti ci invidiano. Tutti vorrebbero vivere in Italia. Ci sono tante opportunità, ma purtroppo non si danno molte opportunità di crescita ai giovani. Per collegare i valori dell’artigianato con la realtà digitale è indispensabile digitalizzarlo, renderlo più comunicativo, c’è bisogno di menti competitive. Il buono, il bello e ben fatto è un valore che non è replicabile all’estero, un valoreche ci invidiano tutti e che ci dà un forte vantaggio competitivo.
Las Vegas, per esempio, per metà riproduce la brand italiana, ciò fa capire quanto conta nell’immaginario il valore dell’Italia.
L’Italia è il marketing per eccellenza se riuscissimo a veicolarla meglio, sarebbe il massimo.
La globalizzazione mangia le micro economie o ne ha bisogno per differenziare i mercati?
Sinceramente tutto ciò che è locale, in particolare le tradizioni, il ben fatto in un determinato luogo può essere esclusivo e tutto ciò che è esclusivo può essere venduto sul mercato. Internazionalizzare ciò che è locale può dare un vantaggio competitivo.
A cura di Silvia Trevisan