Lo sviluppo dimensionale

Come è stato premesso nel precedente articolo di questa rubrica sullo sviluppo settoriale, l’articolazione della politica prevista dal Patto strategico di sviluppo


Come è stato premesso nel precedente articolo di questa rubrica sullo sviluppo settoriale, l’articolazione della politica prevista dal Patto strategico di sviluppo tiene pure conto di uno sviluppo dimensionale delle unità produttive. Sul problema dimensionale, inoltre, ci eravamo già soffermati proprio nel primo numero della rubrica “Il punto” (v. “L’Economia della Marca Trevigiana” n. 1/2004), ove era stata messa in evidenza la fragilità dell’azienda di piccole dimensioni (soprattutto quella di piccolissime dimensioni, cioè la cosiddetta “microimpresa“).

In questa sede, innanzi tutto intendiamo esaminare l’entità del fenomeno a livello di sistema economico provinciale attraverso la lettura della tabella riportata.

Come si può osservare dalla tabella stessa, escludendo il solo macro-settore dell’agricoltura (ma tenendo presente pure che le maggiori unità agricole sono integrate con l’industria agroalimentare), i dati del Censimento 2001 ci presentano un sistema molto frammentato, anzi polverizzato.

Delle 67.317 imprese della provincia 62.199 (cioè il 92,4%) sono microimprese (inferiori ai 10 addetti) e ben il 99,1% sono piccole (cioè con un numero di occupati inferiore a 50). Quindi le imprese medie e grandi sono numericamente soltanto 0,9% del totale e comprendono il 27% degli addetti complessivi.

Ciò significa che quasi i tre quarti della nostra forza-lavoro opera in aziende dimensionalmente piccole e pertanto non abbastanza strutturate in termini di risorse umane e finanziarie.

Come era già stato accennato nel primo articolo della rubrica “Il punto”, le imprese micro e piccole sono generalmente carenti di mezzi e di professionalità in grado di garantire una competitività soddisfacente in una situazione di aggressiva concorrenza a livello globale. Tale competitività, era stato notato, si manifesta in ogni settore di attività economica tranne in quelle tipiche, specialistiche e territorialmente limitate. Volendo stimare per eccesso queste ultime attività, possiamo approssimarle al massimo ad un 50% del totale delle unità micro e piccole. In questo modo, secondo le percentuali sopra indicate, sarebbero a rischio di pressioni concorrenziali esterne (di altre zone d’Italia, dell’U.E. e dell’intero pianeta, compresi i ben noti Paesi emergenti) circa il 35% dei nostri lavoratori, dando per scontato che le altre attività micro-piccole e le aziende medie e grandi siano in grado di far fronte autonomamente ai rischi imprenditoriali cui ogni impresa per definizione è soggetta.

Ovviamente, la crescita delle dimensioni e le aggregazioni rappresentano la strada maestra da percorrere per arrivare ad un livello di grandezza (orientativamente verso i 50 addetti) che permetta, a parità di altri fattori, di essere strutturalmente adeguati alle sfide che la competitività impone. Ma è anche logico supporre che ben difficilmente le imprese micro (al di sotto dei 10 addetti) riusciranno in tempi accettabili a raggiungere o anche ad avvicinarsi alla soglia delle medie.

Per le micro, quindi, occorrono inderogabilmente servizi esterni, i cosiddetti servizi di “terziario avanzato alle imprese” in grado di compensare le carenze di mezzi (ma soprattutto di professionalità) per operare in maniera competitiva sul mercato. Ma, come si è osservato nell’articolo precedente sullo sviluppo settoriale, tali servizi (indipendentemente dalle loro dimensioni) sono ancora modesti ed anzi in provincia di Treviso sono proporzionalmente inferiori che altrove. Certamente a questa carenza suppliscono in parte anche gli enti pubblici ed il tessuto associativo delle categorie economiche, ma ciò non può bastare se si considera l’entità dei fabbisogni latenti: circa il 50% delle microimprese (ossia circa 30.000) e dei relativi addetti (circa 60.000).

A questo punto, è necessaria una forte e diffusa opera di sensibilizzazione delle unità micro-piccole sui propri fabbisogni di servizio esterno e, d’altra parte, la promozione (anche con eventuali incentivi) di nuovi insediamenti di imprese di terziario avanzato o di attività professionali specialistiche in grado di rafforzare in competitività il nostro sistema economico maggiormente polverizzato.

Queste considerazioni e proposte possono valere in linea generale anche per l’intera regione Veneto che, come è evidente nella tabella, presenta un’analoga situazione.

Renato Chahinian
“L’Economia della Marca Trevigiana”, dicembre 2005