La finanza delle PMI

Dalla maggior parte degli studi sull’argomento risulta evidente che le PMI, sotto l’aspetto finanziario


Dalla maggior parte degli studi sull’argomento risulta evidente che le PMI, sotto l’aspetto finanziario, sono per lo più squilibrate in quanto, a riscontro degli
investimenti aziendali esistenti, presentano:

una minima quota di capitale di rischio;

una modesta quota di capitale di credito a medio-lungo termine (per lo più rappresentato dagli accantonamenti obbligatori per il TFR del personale dipendente);

una eccessiva quota di indebitamento a breve termine, soprattutto riferito al debito bancario ed a quello commerciale (con i fornitori).

D’altro canto, il mercato dei capitali offre alle PMI:

crediti a medio termine scarsi ed assistiti da gravose garanzie;

capitale di rischio pressoché nullo, in quanto il mercato borsistico è accessibile ad imprese medio-grandi e gli intermediari finanziari in Italia sono pochi, molto selettivi e rivolti
principalmente verso progetti di una certa dimensione.

Sulle cause e sui possibili rimedi di una simile situazione gli esperti hanno prospettato soluzioni da almeno una trentina d’anni, ma non si è ancora formata una volontà politica da parte degli
stessi operatori, sia della domanda (piccole imprese) che dell’offerta (sistema finanziario), né tanto meno da parte degli organi di governo, di risolvere radicalmente il problema. Rimane il fatto,
però, che l’inefficiente ed inefficace finanza attuale non permette di realizzare quegli investimenti, di sviluppo e di competitività assieme, che abbiamo citato nei precedenti articoli di questa
rubrica e che sono basilari per la sopravvivenza futura delle nostre PMI.

Per uscire da tale contraddizione, si può osservare che, innanzi tutto a livello aziendale, pur dovendo escludere la moltitudine delle imprese molto piccole e micro, esiste pur
sempre un nutrito gruppo di piccole-medie aziende che, opportunamente sensibilizzate ed addestrate, potrebbe essere in grado di accedere:

al credito a medio termine, attraverso la presentazione di progetti chiari e rigorosi che dimostrino obiettivamente il rendimento atteso degli investimenti previsti e quindi la
capacità di credito dell’impresa richiedente, indipendentemente dalle garanzie offerte;

al capitale di rischio, mediante una più attiva azione sugli intermediari e, nei casi di una dimensione sufficiente, ricorrendo alla quotazione in borsa che, oltre al mercato
tradizionale (segmento ordinario), presenta ora vari segmenti più accessibili alle PMI (nuovo mercato, STAR, Expandi), purché increscita, finanziariamente avanzate e giuridicamente trasparenti.

Ma per tutta la grande massa di piccole e micro imprese (orientativamente di dimensioni inferiori alle 40-50 unità) occorrono altri rimedi per raggiungere comunque gli stessi risultati, in quanto è
noto che gli investimenti di crescita e rafforzamento sono essenziali anche per queste aziende.

Come nell’articolo precedente si era parlato di aggregazione nelle strategie e negli investimenti in comune, qui si può osservare che la strada obbligata deve
passare attraverso un’aggregazione nei finanziamenti. A questo proposito, è ben vero che i consorzi fidi utilizzano proprio questo principio mutualistico fornendo
garanzie comuni ai propri associati, ma è anche vero che questi organismi sono scarsamente presenti nel credito a medio termine e totalmente assenti nelle operazioni di capitale di rischio.
Inoltre, gli interventi consortili nel credito, per alcune motivazioni già esposte, possono sortire i massimi effetti soltanto quando gli investimenti sono comuni ed i settori finanziati sono
collegati od uniformi tra loro, affinché il creditore o capitalista sia in grado di apprezzare la validità ed il rischio della propria offerta di capitale. Pertanto i consorzi fidi, generalmente
plurisettoriali, dovrebbero più convenientemente convertirsi in consorzi fidi settoriali o distrettuali, o nei casi più disaggregabili, in consorzi di
filiera
.

In questo modo, l’uniformità delle esigenze degli associati, anche se le dimensioni del consorzio potranno essere inferiori, permetterebbe un rapporto più dedicato da parte dei finanziatori e
quindi un moltiplicatore più elevato degli affidamenti rispetto alle garanzie offerte, in quanto sarebbe assicurata la trasparenza e l’innovazione negli investimenti finanziabili. D’altra parte, si
otterrebbero:

una massa critica di richieste di finanziamento sufficienti ad abbattere le barriere del credito a medio termine e del capitale di rischio per le piccole imprese;

una migliore conoscenza ed una più diffusa circolazione di “buone pratiche”, all’interno del consorzio, sugli investimenti validi e di comune interesse per il settore/distretto;

interventi pubblici in favore dei consorzi più incisivi per lo sviluppo dell’economia locale (sia rispetto ai contributi a fondo perduto erogati alle singole PMI, sia in confronto ai contributi
al fondo rischi degli attuali confidi);

la responsabilità giuridica del consorzio (certamente di maggior affidabilità e garanzia) su tutte le operazione attuate;

la possibilità di utilizzare strumenti creditizi e finanziari innovativi preclusi alle aziende minori (“project financing”, emissioni obbligazionarie, prestiti internazionali, prestiti
partecipativi, “venture capital”, “leasing” azionario,ecc.).

Renato Chahinian
Tratto da “L’Economia della Marca Trevigiana”, Dicembre 2004